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DIAGNOSI PRENATALE INVASIVA

L’amniocentesi è la tecnica invasiva di diagnosi prenatale maggiormente utilizzata, finalizzata all’acquisizione, mediante puntura transaddominale e sotto controllo ecografico, del liquido amniotico, idealmente attorno alla sedicesima settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all’invasività della tecnica, è calcolato in circa 1:200. Il liquido amniotico contiene una parte corpuscolata formata da cellule che derivano dal feto (cute, mucose, vie genito-urinarie, apparato gastrointestinale). Queste cellule sono utilizzate per indagini citogenetiche, ed eventualmente per le analisi molecolari e biochimiche, sia direttamente che sulle cellule coltivate. 

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La villocentesi è una tecnica invasiva, utilizzata per il prelievo del trofoblasto, mediante puntura transaddominale, sotto controllo ecografico, idealmente attorno alla 10-12 settimana di amenorrea. Il rischio di aborto, collegato all’invasività della tecnica, è circa 2-3%. Il tessuto acquisito può essere utilizzato per l’analisi citogenetica. Il vantaggio della precocità della tecnica, rispetto all’amniocentesi, è controbilanciato dalla sua maggiore invasività e dalla acquisizione di tessuto placentare e non fetale. 

 

 

 

Tratto da informative all'ecografia della SIEOG

Linee guida SIEOG 2015

Linee-Guida Screening prenatale non invasivo basato sul DNA (Non Invasive Prenatal Testing – NIPT) Ministero della salute 

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